cts informala mia storia

giocare costa, ma ritrovare la dignità si può

Ho iniziato a giocare verso la fine di un percorso terapeutico in comunità “madre bambino” a Mestre.
Ero lì per uscire dall’attaccamento alle sostanze, anche se avevo smesso da sola con forza e determinazione appena scoperto di essere in cinta. Volevo imparare a fare la mamma, aiutata anche dal lato psicologico da una equipe di educatori.
I primi due anni sono stati impegnativi ma tutto sommato belli sia per me che per Emily, mia figlia. Poi ho iniziato a giocare un po’ superficialmente riuscendo anche a imbrogliare sulle spese e sugli scontrini che logicamente mi controllavano in comunità. Tenere nascosto tutto ha fatto crescere in me il desiderio di continuare. Tra macchinette e gratta e vinci riuscivo spesso a vincere e comperarmi sigarette e dolci di nascosto. Poi continuando non riuscivo più a gestire la cosa e giustificare le spese e mi sono resa contro di avere un problema. Ne ho parlato anche con la psicologa ma senza sentirmi aiutata. Speravo e credevo dovessero farmi smettere gli altri di giocare. Io lo vedevo un problema troppo grande per riuscire a uscirne.
Vennero poco dopo le mie dimissioni e con la mia bimba mi trasferirono in appartamento presso la struttura residenziale famiglia materna di Rovereto. All’inizio bene! Ero aiutata nella gestione economica dagli educatori e da mia mamma che nel frattempo era diventata il mio amministratore di sostegno. Poi però ho iniziato a sentire la solitudine. Ero abituata a una struttura con quaranta persone tra mamme e bambini. Ho scritto Emily alla materna, mi ha lasciata la mia ragazza, avevo così tanta malinconia e tempo di cui non sapevo che fare. Vedevo come soluzione il gioco perché riuscivo a non pensare. Col tempo facevo qualsiasi cosa pur di giocare, compresi prestiti che mi creavano tanti casini. Perdevo soldi, perdevo tempo, perdevo amicizie, perdevo la dignità, perdevo fiducia. Ed ogni giorno era la stessa storia: alzarmi, trovare i soldi, giocare, perdere e piangermi addosso. Ero un’altra persona anche con mi figlia e mi sento tanto in colpa per questo.
Poi però una mia amica mi ha aperto gli occhi e allora ho deciso di chiedere aiuto per uscire una volta per tutte.
Ora son a casa Giano in comunità ed Emily sta attualmente con la nonna ma la vedo regolarmente. Sono quattro mesi che non gioco più e mi sento più forte, ho sconfitto ciò che non avrei mai pensato. Ero stufa di consumare la mia vita in un tasto che determinava la mia giornata. Ora posso permettermi una vita normale senza vivere alla giornata.
Alice, rappresentazione grafica della ludopatia, 2018
Alice, rappresentazione grafica della ludopatia, 2018
La forza più grande me l’ha data Emily perché farei di tutto per lei, per renderla felice, sicuramente si ricorda anche lei come ero ma vede come sono adesso e mi vuole così. Sto riscoprendo tutte le mie risorse per andare avanti, non ho più voglia di perdere tempo, voglio una vita senza dipendenza perché posso fare senza.
(Alice, 2018)

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