Il percorso di “Giustizia Riparativa” è un tipo di percorso ormai riconosciuto dalle istituzioni e può essere richiesto laddove si dovesse incontrare la necessità o l’opportunità di gestire fatti di ingiustizia più feconda e più propositiva.
Quando si parla di “Giustizia riparativa” non si parla di una rivoluzione copernicana ma di un approccio evolutivo affermando la complementarietà di un istituto molto coraggioso.
Si parla di persone e non di “vittima” o di “reo”.
“Persone” che in quelle determinate circostanze hanno subito qualcosa, rimanendone vittime. Il loro primo diritto è quello di non rimanere imprigionate in quel fatto. Stesso diritto di una persona che ha compiuto il male. Un fatto accaduto non può diventare parte integrante dell’identità di una persona.
Il percorso di giustizia riparativa non permette a nessuno di rimanere passivo, perché ognuno ha il diritto di ritornare ad essere attore di giustizia.
Nella società in cui viviamo e operiamo siamo ancora abituati ad una “Giustizia con la spada” a cui rispondere con altra spada. Lo scontro, però, non è l’unica dimensione disponibile all’interno di un conflitto. Attraverso una conoscenza che riconosce l’alterità si può entrare nel conflitto senza uscirne sconfitti.
È evidente che molto cammino ancora occorre per modificare la cultura imperante che vede nella acritica repressione l’unica forma di sicurezza.
È proprio in una comunità solidale che si possono promuovere stili di vita e di relazioni orientati al benessere della persona, della collettività e alla pace sociale.
Abbiamo chiesto a Daniela Arieti, mediatrice penale del Centro regionale per la Giustizia riparativa, e all’avvocata Elena Mattevi coordinatrice dell’Osservatorio per la Giustizia riparativa dell’Università di Trento, di approfondire la disciplina dell’istituto.
- Professoressa Mattevi, che cos’è la Giustizia Riparativa?
Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, noto anche come Riforma Cartabia, definisce all’art. 42 la giustizia riparativa come “ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore”. La Giustizia Riparativa è così un approccio alla giustizia che consente alle persone coinvolte in una vicenda con rilevanza penale di poter accedere ad uno spazio di dialogo in modo volontario, confidenziale e gratuito, alla presenza di mediatori che facilitano la comunicazione, con l’obiettivo di definire un’adeguata riparazione. La gr concede dunque la possibilità di partecipare a colloqui, prima individuali e poi congiunti, utili a rileggere la vicenda penale alla luce dei vissuti individuali e delle conseguenze provocate dal reato a livello personale e sociale.
- Dottoressa Arieti, quali sono i principi fondamentali della giustizia riparativa?
I principi su cui si basa la gr sono stabiliti dall’art. 43 del citato decreto, il quale stabilisce che i programmi di giustizia riparativa debbano garantire:
– partecipazione attiva e volontaria delle parti;
– equa considerazione;
– coinvolgimento della comunità;
– consenso alla partecipazione;
– riservatezza;
– ragionevolezza e proporzionalità;
– indipendenza dei mediatori;
– garanzia del tempo necessario.
- Elena Mattevi, come si differenzia dalla giustizia retributiva tradizionale?
Una delle differenze più importanti tra la giustizia riparativa e quella tradizionale si coglie sul fronte della volontarietà: l’accesso alla giustizia riparativa è volontario e volontario è l’esito riparativo che i partecipanti possono concordare in conclusione del programma, mentre la giustizia penale è caratterizzata dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e dalla coercitività delle sanzioni irrogate.
- Daniela Arieti, approfondiamo un po’ l’applicazione e le metodologie di questo istituto. Quali sono le pratiche e i processi più comuni utilizzati nella giustizia riparativa?
Sul nostro territorio, ma più in generale in Italia per anni, sin dai primi studi e dalle prime esperienze nell’ambito della giustizia riparativa, la pratica più comunemente utilizzata è stata la mediazione penale.
Ancor oggi, per quanto riguarda il nostro ufficio, la mediazione penale risulta essere il programma più utilizzato sebbene negli anni siano subentrate nella pratica altre metodologie che sono sempre più comuni come ad esempio i dialoghi riparativi, che costituiscono una forma di dialogo allargata alla comunità ferita dal reato. Il Centro regionale stesso era nato nel 2004 come Centro per la mediazione penale, e ha successivamente modificato la sua denominazione nel 2017 dati i programmi e le attività che già si svolgevano e che rientravano nel panorama più ampio della giustizia riparativa.
L’attuale normativa (dlgs 150/22) all’art. 53 definisce quali sono i programmi di giustizia riparativa elencando: a. la mediazione tra la vittima e la persona indicata come autore dell’offesa, anche allargata a gruppi parentali; b. il dialogo ripartivo; c. ogni altro programma dialogico svolto nell’interesse della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa.
Con la lettera c dell’articolo 53 il legislatore lascia volutamente spazio e apertura a programmi che non rientrano nelle prime due categorie, consentendo di fatto la possibilità di definire caso per caso il programma più idoneo a rispondere ai bisogni dei partecipanti.
- Può fornire esempi di situazioni in cui la giustizia riparativa è stata applicata con successo?
Ci sono molti esempi positivi che possiamo citare in questi vent’anni di esperienza del centro regionale. I casi con esito riparativo sono quelli in cui l’incontro ha reso possibile, attraverso il dialogo e l’ascolto reciproco, un riconoscimento tra i partecipanti e una nuova narrazione del fatto che ricomprende i vissuti, le emozioni e i punti di vista di tutti. Questo genera la possibilità di arrivare ad un accordo riparativo simbolico o materiale.
Posso qui citare, utilizzando nomi di fantasia, l’esempio di un ragazzo (Alex) rapinato del suo nuovo I-phone da un coetaneo (Diego). Alex da quel giorno non riusciva più ad andare a scuola sereno: era terrorizzato, doveva essere accompagnato dai genitori e non viveva serenamente il contesto scolastico. I genitori riportavano un cambiamento nelle sue abitudini anche quotidiane nel senso che non usciva più a giocare con gli amici e si era isolato per il terrore di incontrare Diego. Il coetaneo che lo aveva rapinato era un ragazzo fisicamente minuto, che veniva spesso deriso ed era oggetto di frasi razziste e allontanato a causa delle sue origini, che aveva pensato che anche Alex lo avesse preso in giro. Voleva in qualche modo vendicarsi e allo stesso tempo affermarsi.
In questo caso l’incontro tra i due è stato anticipato da una lettera che Alex, dopo alcuni colloqui preliminari con la mediatrice ha chiesto di ricevere per capire se davvero potesse avere senso incontrare Diego. Aveva il timore che l’incontro potesse essere una farsa: Diego si sarebbe scusato perché doveva farlo e poi avrebbe continuato a fare il “bulletto” con lui che invece venendo a quell’incontro avrebbe mostrato la sua vulnerabilità.
Diego era realmente dispiaciuto per l’accaduto e la lettera, in cui è riuscito a raccontare il suo vissuto, senza volersi giustificare, ha convito Alex ad incontrarlo. L’incontro tra i due ha permesso una ri-narrazione della loro vicenda: ha consentito loro di vedersi come persone, con le proprie debolezze e le proprie storie, e non più con le lenti del pregiudizio.
Al termine dell’incontro Alex ha affermato di essere dispiaciuto di non avere avuto questa occasione di incontro prima: “ mi sarei risparmiato più di un anno di ansia e paura” ha affermato.
- Chi sono i principali attori coinvolti in un processo di giustizia riparativa?
I principali attori coinvolti in un programma sono la/le vittime, la/le persone indicate come autori dell’offesa e la comunità di riferimento. Esistono programmi che possono coinvolgere solo due di questi attori. Possiamo affermare che il coinvolgimento di vittima e autore del reato, quantomeno in una fase preliminare è indispensabile e a seguito di questo, sulla base anche delle aspettative e dei bisogni delle parti l’incontro può essere allargato alle famiglie, a rappresentanti della comunità o a “ chiunque vi abbia interesse” dice la legge. Nel caso riportato sopra ad esempio i ragazzi avevano chiesto espressamente di incontrarsi senza genitori per poter parlare tra loro. Tuttavia i genitori di Alex avevano chiesto di poter incontrare Diego. Si è fatto in modo che potessero accadere entrambe le cose, lasciando ai ragazzi uno spazio intimo di dialogo e facendo poi partecipare anche i genitori per raccontare loro dell’incontro e concedere uno spazio di espressione.
- Daniela Arieti, quali sono i benefici principali della giustizia riparativa per le vittime?
La giustizia riparativa concede innanzitutto uno spazio di ascolto che nella giustizia tradizionale la vittima non trova. E’ un ascolto in cui non vi è giudizio, non vi è valutazione; è un colloquio confidenziale nel quale dunque le persone possono sentirsi libere di esprimersi. Il mediatore permette attraverso questo ascolto e le tecniche di riformulazione, di focalizzarsi sulla parte emotiva del fatto accaduto e sulle conseguenze e cerca insieme alla persona di capire quali sono i suoi bisogni rispetto all’accaduto e se un incontro di giustizia riparativa possa rispondere a tali bisogni. Spesso le vittime hanno domande alle quali vorrebbero trovare risposta, o cose da dire che non hanno avuto la possibilità di dire; hanno bisogno di essere riconosciute nella loro sofferenza e che l’altro si prenda la responsabilità di averla causata; talvolta hanno paure legate ad un inevitabile giudizio nei confronti dell’altro che attraverso un incontro potrebbero essere ridimensionate (come nel caso di Alex) ; in qualche caso hanno richieste o aspettative; frequentemente hanno bisogno di raccontare quali sono state le conseguenze del reato nella propria vita, di essere ascoltate e di sentire e vedere se l’altro ha realmente capito.
- In che modo la giustizia riparativa può beneficiare anche i colpevoli?
Per quanto riguarda la persona indicata come autore dell’offesa la giustizia riparativa offre una opportunità per riflettere sul proprio vissuto e sulle proprie azioni alla luce delle conseguenze provocate alla vittima, ai propri familiari, a se stessi, alla comunità: una occasione dunque di assumersi la responsabilità di quelle conseguenze e mettere in atto una riparazione simbolica o materiale che risponda ad un accordo con la vittima. Anche in questo caso, poter usufruire di uno spazio libero dal giudizio e dalle valutazioni proprie del processo rende la partecipazione più autentica.
- Elena Mattevi, abbiamo parlato di benefici e sfide, ma quali sono le principali sfide e critiche nei confronti della giustizia riparativa?
Da sempre una delle sfide della giustizia riparativa è quella culturale poiché la giustizia riparativa è un paradigma che richiede una visione del reato e della risposta al reato completamente diversa da quella della giustizia tradizionale: la giustizia riparativa non si chiede chi è il colpevole e come punirlo, ma chi è stato danneggiato e come può essere riparato. Affinché possa diffondersi è dunque fondamentale far conoscere l’approccio riparativo, sia in ambito penale sia in altri contesti ( comunità, scuola ecc..) affinché i principi, i valori e le prassi che lo informano possano diventare patrimonio della comunità più ampia e consentano di gestire i conflitti e le situazioni penalmente rilevanti attraverso il dialogo, la comprensione reciproca e la riparazione.
Oggi inoltre una delle principali sfide della giustizia riparativa è mantenere la distanza e l’autonomia rispetto al processo penale. L’istituzionalizzazione avvenuta attraverso la riforma Cartabia ha portato tanti vantaggi relativo al riconoscimento formale dell’istituto e all’ampliamento delle possibilità di accesso, ma allo stesso tempo potrebbe portare con sé il rischio che la giustizia riparativa debba rispondere a delle aspettative che non sono quelle delle parti e che in questo modo si snaturi. E’ importante invece che chi si occupa di Giustizia riparativa rimanga focalizzato sui principi e gli standard indicati anche nella riforma, e sul senso della giustizia riparativa in ambito penale affinché essa conservi il suo potenziale riparativo per i partecipanti e per la comunità.
Per quanto riguarda la riforma Cartabia le critiche sollevate sono state molte. Non tanto rispetto alla giustizia riparativa come approccio in sé, quanto rispetto alle modalità e alla opportunità di introdurre tale strumento nel contesto del processo penale.
La critica principale nei confronti del paradigma, però, viene formulata da tutti coloro che ritengono che la giustizia riparativa rappresenti solo un modo per assicurare al colpevole di un reato una rapida scappatoia dalle sue responsabilità; questa critica, anche se molto diffusa, è priva di fondamento per due fondamentali ragioni. Innanzitutto, il programma di giustizia riparativa è un percorso molto impegnativo per tutti i soggetti coinvolti; in secondo luogo, i risultati processuali che si possono ottenere in Italia, con un programma dall’esito positivo, incidono solo sull’ammontare della pena o sulla facilitazione dell’accesso alle misure alternative, con l’eccezione dei reati procedibili a querela.
- Professoressa Mattevi, rispetto al futuro, come viene implementata la giustizia riparativa nel sistema legale italiano?
La Riforma Cartabia ha disegnato una riforma organica della giustizia riparativa molto ambiziosa. I risultati della riforma dipenderanno tuttavia dalla sua effettiva attuazione; attuazione che richiede innanzitutto la creazione dei centri di giustizia riparativa su tutto il territorio italiano. In questo momento ci troviamo in una fase di stallo, che è auspicabile venga presto superata.
- Quali sono le principali differenze nell’applicazione della giustizia riparativa a livello internazionale?
La giustizia riparativa ha trovato nei diversi ordinamenti occidentali declinazioni assai diversificate tra loro. La Raccomandazione del 2018 del Consiglio d’Europa sulla giustizia riparativa è chiarissima nel precisare che “a seconda del Paese in cui la giustizia riparativa viene utilizzata e al modo in cui è praticata, essa può essere denominata con i termini, tra gli altri, di mediazione reo-vittima, mediazione penale, restorative conferencing, family group conferencing, consigli commisurativi e circoli di conciliazione”. “La giustizia riparativa può essere utilizzata in ogni fase del procedimento penale. Ad esempio, può essere associata a una forma di diversione dall’arresto, dall’esercizio dell’azione penale o dal perseguimento penale del fatto, può essere usata congiuntamente all’archiviazione di polizia o giudiziaria, può intervenire prima o parallelamente al perseguimento penale del fatto, può collocarsi tra l’accertamento di responsabilità e la comminazione di una pena, può costituire parte di una pena o intervenire dopo la comminazione o l’espiazione della stessa”.
Non ci sono limiti, insomma, ai modi in cui essa si esprime e a quelli in cui può essere valorizzata nel sistema.
- Quali sono le prospettive future per la giustizia riparativa?
Come dicevo, le prospettive concrete della giustizia riparativa in Italia dipenderanno innanzitutto dalla effettiva creazione delle strutture chiamate a gestirla. Il momento che stiamo vivendo è decisivo.
- Dottoressa Arieti, lei lavora nel campo da diversi anni e sicuramente ha visto diversi casi, può condividere un’esperienza personale o un caso particolare in cui ha lavorato con la giustizia riparativa?
Vorrei condividere l’esperienza di un programma di giustizia riparativa rivolto a minori e giovani adulti in messa alla prova per reati di spaccio di sostanze stupefacenti anche per dare l’idea di come la giustizia riparativa possa dare risposte a reati che non hanno una vittima definita. Il programma ha preso il nome di #Ioripar(t)o: è’ un programma di giustizia riparativa che si svolge in gruppo, relativamente ad un reato cosiddetto senza vittime come lo spaccio di sostanze stupefacenti. Il programma si pone come obiettivo quello di individuare quali sono le conseguenze del reato e chi le ha subite; ascoltare le voci di chi ha subito per arrivare poi ad una riparazione. Anche quest’anno il programma ha visto la partecipazione del Centro Trentino di Solidarietà, insieme ad altre realtà del territorio, come partner e come rappresentanti di realtà che hanno a che fare con la gestione delle dipendenze.
Quest’anno il programma effettuato che si è svolto in tre giornate intensive di incontri con le “vittime” del reato, ha portato un gruppo di 4 ragazzi alla proposta di svolgere un circle nella propria comunità di appartenenza , i membri della quale loro avevano individuato come vittime del reato: il dialogo riparativo ha coinvolto il sindaco, gli insegnanti della scuola e un dirigente scolastico, la comunità terapeutica del posto, la rappresentante della consulta dei genitori, la rappresentante di un centro diurno, il comandante della Polizia locale. Tutte queste persone, insieme ai ragazzi e alle mediatrici hanno potuto esprimersi rispetto all’accaduto e alle conseguenze di questo reato sulla comunità e hanno potuto condividere idee sulla possibile riparazione.
In particolare è emerso da questo incontro una richiesta di aiuto da parte della comunità rispetto alla gestione di questi comportamenti e l’idea che l’esperienza dei ragazzi coinvolti potesse diventare in qualche modo patrimonio comune, utile ai coetanei per riflettere su determinati comportamenti.
E’ nata da questo incontro e da una idea che i ragazzi avevano già maturato precedentemente, la produzione un podcast che ha permesso loro e ad altri del gruppo di raccontarsi, di condividere la propria esperienza di reato e di mandare un messaggio ai coetanei.
Riparazione nella giustizia riparativa vuol dire non solo pensare a cosa potrebbe essere riparativo ma condividere in un dialogo le finalità, le modalità e soprattutto il significato dell’azione riparativa.
Daniela Arieti
Mediatrice penale esperto presso Centro di Giustizia Riparativa Regione TAA.
È impiegata nell’elaborazione e attuazione di programmi di giustizia riparativa; mediazione penale nell’ambito dell’attività dei Giudici di Pace, del Tribunale per i Minorenni e dei Servizi sociali Minorili, della messa alla prova per adulti e dell’esecuzione della pena; progettazione e conduzione di laboratori in contesti scolastici ed extrascolastici sul tema della prevenzione e gestione del conflitto, della gestione delle emozioni e della comunicazione non violenta.
Elena Mattevi
Docente e ricercatrice di diritto penale presso l’Università di Trento, coordina l’Osservatorio sulla giustizia di pace, conciliativa e riparativa della Facoltà di Giurisprudenza.
Ha partecipato a convegni e gruppi di ricerca nazionale ed internazionali. È autrice della monografia “Una giustizia più riparativa. Mediazione e riparazione in materia penale” e autrice e curatrice di numerose altre pubblicazioni su temi penalistici.
Ultimi articoli
- Opportunità Unica per Educatori/Educatrici Professionali Sanitari o Te.R.P.
- INFORMATIVA SUL TRATTAMENTO DATI PERSONALI
- Convegno “Abitare la speranza: il ruolo delle case alloggio nel percorso di persone con HIV”
- Una storia di speranza. Intervista a Lucia Bortolamedi Saltori
- “L’età di chi usa è scesa ancora” – Intervista di Giuliano Guzzo ad Antonio Simula
Categorie
Calendario
L | M | M | G | V | S | D |
---|---|---|---|---|---|---|
1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 |
15 | 16 | 17 | 18 | 19 | 20 | 21 |
22 | 23 | 24 | 25 | 26 | 27 | 28 |
29 | 30 | 31 |