“Anche se la capacità di imbrogliare è segno di acutezza e di potere, l’intenzione di imbrogliare è senza dubbio segno di cattiveria o di debolezza.”
(Cartesio)

Spesso quando pensiamo alla cattiveria e al male li poniamo in contrapposizione al bene, che ci rimanda al meccanismo di difesa primitivo della scissione, ovvero quel meccanismo che ci porta a distinguere in maniera netta le caratteristiche che noi riteniamo contraddittorie nell’Altro. Solitamente, inoltre, le qualità buone di una persona vengono valorizzate mentre quelle negative svalorizzate, per permetterci di poter entrare in relazione con una persona anche quando questa presenta delle caratteristiche che non apprezziamo. Essendo un meccanismo di difesa PRIMITIVO significa che è stato sviluppato nell’infanzia, per permettere al bambino di entrare in contatto solo con aspetti gratificanti delle persone che lo circondano, tutelandolo di fronte alle frustrazioni che incontra.

Crescendo, questo meccanismo di difesa non è più così adattivo e si sviluppa permettendoci di separare le qualità degli oggetti mantenendo integro l’esame di realtà.
Guardando al fenomeno della cattiveria e della sua origine invece, Moshagen e colleghi dell’Università di Ulm in Germania, attraverso uno studio su un campione di 2500 persone hanno delineato le caratteristiche delle persone maggiormente propense alla cattiveria, individuando 9 fattori, FATTORE D (Dark):
1. Egoismo, ovvero l’essere centrati sui propri bisogni e interessi anche quando questo porta svantaggi agli altri;
2. Machiavellismo , queste persone sono spregiudicate, strategiche e distaccate;
3. Narcisismo, questa caratteristica rende impossibile a queste persone vedere gli altri poiché eccessivamente centrati su di sé;


4. Superiorità psicologica, queste persone hanno l’errata convinzione di meritare di più degli altri, essere di più, speciale o migliore. Convinzione che utilizza anche per giustificare i suoi agiti;
5. Psicopatia, declinabile in scarsa empatia, impulsività, poca sensibilità, tendenza a mentire;
6. Sadismo, cioè il trarre piacere dall’infliggere dolore agli altri;
7. Interessi sociali e materiali, sono persone orientate verso l’acquisizione di un certo status sociale e l’accumulo di beni materiali;
8. Malevolenza, ovvero la tendenza all’ostilità verso l’altro, agita in svariati modi.
Queste caratteristiche sono COMUNI a tutti noi, tuttavia è chiaro che si manifestano in misure sensibilmente differenti.
Fondamentale nella concettualizzazione della cattiveria è l’empatia, infatti secondo lo psicologo Baron–Cohen le persone cattive non sono in grado di provare empatia (se vuoi approfondire il tema dell’empatia:  https://www.citiesse.org/2020/11/26/nei-tuoi-panni-uno-sguardo-allempatia/

L’esperimento di Zimbardo – The Stanford Prison

Un esperimento di psicologia sociale molto famoso ed importante per lo studio di questo tema è stato quello di Philip Zimbardo del 1971. Il professore volle ricreare e simulare le dinamiche di una prigione all’interno dell’Università di Stanford al fine di comprendere i processi di trasformazione che si verificano quando persone buone compiono azioni cattive. La domanda che ha mosso Zimbardo ed i suoi collaborati nell’organizzare questo esperimento era: “Cosa spinge le persone ad essere cattive?”
Zimbardo ed i colleghi scelsero 24 volontari, ritenuti idonei per il loro essere equilibrati e poco tendenti a comportamenti devianti. Vennero divisi in due gruppi in maniera casuale: detenuti e guardie. Le guardie avevano divise, con occhiali da sole e manganelli per de–individualizzarli e de-responsabilizzarli, mentre ai detenuti è stata fornita un’uniforme al posto dei loro indumenti, una cella ed una catena alla caviglia.
I partecipanti assunsero il ruolo che gli era stato assegnato, ed erano osservati durante tutto il tempo grazie ad un sistema di telecamere installato nel “carcere”.
Fin da subito le guardie presero il sopravvento sui detenuti, mettendo in atto comportamenti umilianti, vessatori, intimidatori che in pochi giorni raggiunsero livelli estremi. L’esperimento in origine sarebbe dovuto durare 14 giorni, ma è stato interrotto pochi giorni dopo l’inizio per l’atteggiamento violento e sadico delle guardie.
Le conclusioni di Zimbardo furono che le persone si uniformano ai ruoli sociali, soprattutto quando si tratta di svolgere ruoli fortemente stereotipati. L’ambiente è stato un fattore determinante per la manifestazione di comportamenti sadici di soggetti che non avevano dato segni evidenti in tal senso. Questo si può spiegare attraverso il processo di DEINDIVIDUAZIONE, ovvero i partecipanti si sarebbero immedesimati nei ruoli a loro assegnati e avrebbero perso il proprio senso di identità e responsabilità personale. L’esperimento ha dimostrato che le singole personalità possono essere offuscate quando ricoprono posizione autoritarie, in altre parole il nostro comportamento è influenzato dalla situazione più che da aspetti disposizionali o personologici.

 

Tania Morelli

Nata a Trento nel 1990, dopo la laurea in Studi Internazionali ha scelto di modificare il proprio percorso e si è avvicinata alla psicologia. Durante un periodo in cui ha vissuto in Germania si è interessata all’integrazione degli italiani nel Paese, argomento della sua tesi di laurea con la quale si è laureata in Psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Torino nel 2017. L’interesse per la giurisprudenza l’ha portata a concludere un Master in Psicologia Giuridica presso l’ITAT di Torino e dal 2019 collabora con il Tribunale di Trento come consulente psicologo. Tania è specializzanda in psicoterapia dinamica integrata presso il Centro Psicologia Dinamica di Padova.

Si è avvicinata al mondo delle dipendenze grazie al tirocinio post lauream ed attualmente lavora presso la Comunità Terapeutica la Casa di Giano.

 

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