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La storia di un centro, di una famiglia, di una mamma, di un figlio.

10 ottobre 1984
Un gruppo di genitori dell’Associazione Famiglie Tossicodipendenti e un gruppo di volontari appartenenti al Movimento dei Corsillos di Cristianità e don Antonio Busacca, ci siamo trovati davanti al notaio Gessi, in via Paradisi a Trento, per assistere alla fondazione del Centro Trentino di Solidarietà.
Mi ricordo che c’era anche Oscar che aveva già cominciato il tirocinio di formazione presso la Comunità del Ceis di Verona per prepararsi a questo grande impegno.
Eravamo pieni di speranza, specialmente noi genitori (fra i quali c’erano anche Tina e Piero Nerini e Bruna Avidano) che vedevano, nella fondazione di questo Centro, aprirsi uno spiraglio di salvezza per i nostri figli.
Nella foto i coniugi Annamaria e Ippolito Bresciani primi benefattori del CTS
10 maggio 1985
Il Centro Trentino di Solidarietà entrava a far parte ufficialmente del Ceis di Roma e della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche.
Intanto anche padre Alfredo Rizzi, Claudio Marcon, Maria Bauer, Donatella Piazza e Anna Divan, facevano tirocinio in varie comunità a Bolzano, La Spezia, Verona e frequentarono i corsi a Roma.
Si formò anche un primo Direttivo amministrativo e un presidente terapeutico nella persona di padre Alfredo Rizzi.
In aprile-maggio cominciarono i primi colloqui, e i primi gruppi genitori si formarono a Trento in via delle Orfane, a Rovereto a Palazzo Balista, e a Riva del Garda in via Ardaro.
2 settembre 1985
Inizio ufficiale dell’Accoglienza “La Zattera” in corso 3 Novembre a Trento, in due stanze prestateci dalla Parrocchia del Santissimo, adiacenti la chiesa di S. Chiara.
Cominciò veramente una grande avventura meravigliosa. All’inizio, il primo gruppo era composto da tre ragazzi: Luciano di Trento, Rudi e Claudio di Riva del Garda.
Bisognava però raccogliere dei fondi per contribuire alle spese della formazione degli operatori, che lavoravano e si accontentavano di quello che il Centro poteva disporre per gli stipendi. Per questo venne organizzata una lotteria mentre gli appartenenti al Movimento dei Corsillos, che ci erano vicini con le loro offerte, nelle Parrocchie del Trentino si erano tassati. Una volta al mese arrivavano queste offerte che ci permettevano di portare avanti il lavoro incominciato.
23 novembre 1985
Presentazione del Centro Trentino di Solidarietà – La Zattera – di Progetto Uomo alle Autorità e alla popolazione di Trento.
Nella foto gli operatori della prima ora. Da sinistra Claudio Marcon, Maria Bauer, Oscar Setti, padre Alfredo Rizzi, Anna Divan, Donatella Piazza, Carmen Zandonai.
All’Auditorium Santa Chiara, don Antonio, padre Alfredo, Oscar, Claudio, Donatella, Maria, Anna, i primi operatori, presentarono il Programma di Progetto Uomo e si presentarono. Poi due ragazzi: Lorenzo di Trento e Sandro di Roncegno che avevano frequentato il Programma a Verona, portarono la loro esperienza e la loro testimonianza, e Sandro ci comunicò che aveva deciso di fare l’operatore.
Il primo Natale del Centro, 1985, lo festeggiamo, nella palestra dei Sordomuti in via Piave a Trento. Eravamo un gruppetto di genitori e cinque ragazzi che assieme agli operatori ci allietarono con delle scenette gustose e delle canzoni. A noi genitori non sembrava vero vedere i nostri figli allegri che cantavano e dicevano battute scherzose Alla fine non mancarono nemmeno i dolci delle mamme e gli auguri di buon proseguimento.
I ragazzi intanto erano diventati sei e poi otto. L’esigenza di aprire la Comunità divenne urgente perché i primi sei ragazzi (Luciano, Rudi, Claudio, Lorenzo, Nives, Antonio) erano decisi ed erano preparati per affrontare la seconda fase del Programma.
Don Antonio, padre Alfredo e il Direttivo si davano dunque da fare per trovare una casa che avrebbe accolto i ragazzi.
Non è stata un’impresa facile!

Era la primavera del 1986 e alla difficoltà di trovare una casa adatta per ospitare la Comunità.
Don Antonio, il direttivo del CTS, padre Alfredo, si davano da fare, e dopo varie ricerche e molte delusioni, il comune di Nomi o meglio l’Opera Romani, acconsentirono ad ospitarci in quella che sarebbe diventata “Villa Speranza”.
Era una parte della Casa di riposo non utilizzata in quel periodo.
Finalmente cominciamo a sperare!
Specialmente noi genitori che dopo tanti mesi di Accoglienza, vedevamo con gioia il proseguo della terapia dei nostri figli.
Intanto gli operatori si preparavano a questa nuova fase del programma, ed erano preoccupati per l’impegno grande che avrebbero dovuto affrontare.
La casa era tutta da pulire, e allora un gruppo di volontari, gli stessi che ci aiutavano anche finanziariamente, andarono a pulirla. Finalmente il 17 luglio 1986 alle ore 9 di mattina, il primo ragazzo entrava in Comunità, chiamata “Villa Speranza”. Quel ragazzo, Luciano, era mio figlio e, se mi permettete, vorrei in poche righe raccontarvi il mio stato d’animo di quel giorno.
Quella mattina Luciano era serissimo, preoccupato e non parlava- Io e mio marito col cuore in gola per l’ansia, non ci guardavamo. Se da una parte eravamo pieni di speranza, dall’altra la paura di un altro fallimento di nostro figlio ci bloccava. Arrivammo a Nomi. C’erano a riceverci quattro operatori: Claudio, Donatella, Anna e Andrea.
Non vi sto a descrivere come era la casa. In quel momento per me e mio marito era bella, perché rappresentava la speranza. Poi il sorriso degli operatori, che in quel momento erano più agitati di noi, ci mise a nostro agio, e mentre Luciano affrontava l’intervista, noi con Anna, l’operatrice, andammo a prendere la carne per il pranzo (che mi ricordo ancora erano delle braciole).
Dopo quattro ore ritornarono dall’intervista e ci trovammo in sala, ci comunicarono che Luciano aveva accettato e che sarebbe rimasto. Poi ci mettemmo in cerchio (eravamo in sette) e cantammo “Un giorno credi”; il mio cuore in quel momento sembrava si fermasse e le lacrime salirono agli occhi a me ed anche a Mario, mio marito; dopo tanta ansia forse era arrivato il momento di sperare.
Salutammo Luciano che era sempre molto serio e preoccupato e uscimmo da quella casa che significava una tappa nel cammino di nostro figlio verso la vita.
Nel pomeriggio dello stesso giorno alle 15, entrava in Comunità un altro ragazzo, Rudj di Riva del Garda. Il giorno dopo, sempre alle 9 di mattina, entrava una ragazza, Nives di Ledro, e nel pomeriggio alle 15, Claudio di Riva del Garda. Circa una settimana dopo ne entrarono altri due: Antonio di Trento e Lorenzo di Cembra, e per un po’ rimasero in sei in Comunità.
Nel frattempo in Accoglienza arrivavano altri ragazzi, Marco, Luciano, Norma, Bicio, Anna Maria, Roberto, Franco, Luciano.
A Natale in Comunità erano in dieci ed anche in accoglienza erano un bel numero.
Il Natale 1986, noi genitori fummo invitati in Comunità ad una festa, organizzata dai nostri ragazzi e vi posso assicurare che fu un giorno  meraviglioso.
Eravamo dieci mamme, quattro papà e qualche fratello e sorella. Ci accolsero con tanta gioia e immaginatevi i nostri sentimenti. Erano di paura, di gioia, di ansia, di curiosità. Era una visita speciale perché nessuno di noi aveva fatto l’incontro speciale. Per questo eravamo agitatissimi noi ed anche i nostri figli.
Ci fecero visitare con grande orgoglio la casa, e potemmo constatare il lavoro che avevano fatto assieme a qualche volontario. Avevano lavorato moltissimo, la casa era cambiata, molto più allegra ed efficiente di come era all’inizio.
Noi genitori ci eravamo messi d’accordo e come regalo di Natale con 50mila lire per famiglia, avevamo comperato un set di pentole nuove, per la gioia del cuoco di turno.
Mangiammo uno spuntino insieme a loro, anzi serviti da loro, e poi ci allietarono con gustose scenette e canzoni.
Alla nostra partenza l’agitazione che avevamo all’inizio, si era trasformata in commozione e anche in un po’ di serenità, sempre accompagnata, però, da tanta speranza.

 


E iniziò l’anno 1987.
La sede dell’Accoglienza in via S. Croce diventava sempre più piccola. Il numero dei ragazzi e delle ragazze cresceva (più ragazzi che ragazze), e l’esigenza di avere una sede più grande ormai era impellente. Questo però era un problema che poteva essere risolto solo dai componenti del Consiglio di Amministrazione; noi familiari intanto cercavamo di collaborare con qualche nostra disponibilità, e i primi ragazzi che non avevano la possibilità di avere una famiglia che li seguisse, cominciarono ad arrivare, e così prima una, poi due e tre, le famiglie si resero disponibili e accolsero questi giovani. La solidarietà cominciava a manifestarsi, concretamente. Anche nelle difficoltà cercavamo di essere solidali: qualche ragazzo abbandonava la Comunità e il dolore e la preoccupazione di quella famiglia era condiviso da tutte le altre, non soltanto con qualche telefonata ma con l’andare a trovarli facendo loro compagnia. Quando poi qualcuno tornava, allora tutti gioivamo e speravamo assieme.
Eravamo molto uniti fra noi genitori.
Incominciavano ad arrivare le prime lettere dai ragazzi della Comunità- Era un avvenimento ogni volta che ne arrivava una. A volte le leggevamo insieme, anche se non sempre erano piacevoli, ma erano sincere. Questo ci maturava e ci legava in una profonda amicizia.
Iniziarono anche i primi incontri speciali. Che ansia e che paura provavamo! La prima mamma che fece l’incontro speciale fu Anna Maria la mamma di Rudj. Ricordo con che trepidazione pensavamo a lei e non avendo pazienza di aspettare il gruppo successivo, il suo telefono, quella sera, non smetteva di suonare. Tutti noi genitori volevamo sapere come era andata.
Poi andai io all’incontro speciale.  Era maggio, quasi dieci mesi che mio figlio era in CT. Risento ancora quella sensazione di gioia nel rivederlo e di paura per come sarebbe andata. Arrivata in CT andammo in una stanza, io, mio figlio e Claudio, che allora era il direttore. Ci sedemmo uno di fronte all’altro, e vedevo mio figlio che malgrado l’agitazione mi fissava guardandomi negli occhi, come non succedeva da tanto tempo.
E cominciò a parlare, di se della sua infanzia, della sua adolescenza, delle gioie che aveva vissuto in famiglia, parò soprattutto dei suoi errori della sua vita con la droga, ed io non riuscivo ad essere arrabbiata, non sentivo tutto il dolore che avevo provato. Lui era lì, cambiato, e mi diceva, quanto io lo avevo protetto. Troppo! Gli avevo appianato la strada nelle sue piccole grandi difficoltà. Il mio amore lo aveva soffocato e non aveva potuto crescere autonomo e sicuro, e nell’adolescenza aveva cercato sicurezza fuori dalla famiglia, fuori dalla mia protezione e aveva trovato la droga.
Lui non me ne faceva una colpa, anzi, diceva che mi voleva bene anche per questo.
Quando lui ebbe finito, piangevamo tutti e tre, ma io non fui capace di dirgli quello che provavo o che avevo provato; parlai di tutto fuorché di me. Mi sentivo in colpa per non avergli dato quella sicurezza che a lui era mancata. Poi l’incontro finì, lui mi promise che d’ora in poi l’onestà e la sincerità sarebbero state le cose più preziose per lui, e dopo esserci abbracciati ci lasciammo.
Io però non ero soddisfatta, mi era rimasto il “magone”. Poco dopo Claudio mi chiese se volevo rifare l’incontro, ed io accettai. Tornai a Villa Speranza, mi incontrai di nuovo nella stessa stanza, e questa volta cominciai io a parlare, e riuscii a dirgli tutto, di quanto male ero stata, quanto avevo sofferto, parlai della mia vita, di quanto lo avevo amato e anche odiato, quando lui buttava via la sua vita.
Parlai per due ore, mio figlio piangeva ed anch’io e Claudio, poi ci abbracciammo e fu veramente un abbraccio di liberazione una sensazione di rinascita e fu bellissimo. Quando penso a quell’incontro, quella sensazione è ancora viva in me.
Intanto si avvicinava l’estate, in Comunità erano entrati altri ragazzi e ragazze, e il problema della sede dell’Accoglienza venne risolto. Il comune ci diede prima uno, poi due appartamenti in via Bronzetti. Finalmente! Ai primi di agosto si cominciarono le pulizie. I ragazzi che erano in accoglienza si dettero da fare, anche dei volontari e qualche genitore. Dopo quindici giorni ci trasferimmo in quella sede.
In quel periodo successe anche che uno dei ragazzi della Comunità si ammalò di polmonite e dovette essere ricoverato in ospedale, e così cominciammo già da allora a organizzare i turni di assistenza, eravamo pochi, ma vi assicuro che tutti collaboravano. Si veniva da Riva del Garda, da Cembra. Tutti i genitori erano disponibili e facevano dei grossi sacrifici, perché era il mese di agosto. io li ricordo ancora con molto affetto e riconoscenza perché quel giovane era mio figlio.
E intanto i residenti della Comunità dopo essere andati in montagna sul Bondone per otto giorni , cominciarono a preparare la prima Casa Aperta.
E in settembre “Villa Speranza” si apriva per la prima volta al pubblico.
Fu molto bello, c’erano autorità, genitori e amici.
Per allietare la festa i ragazzi prepararono dei canti e una rappresentazione “Il Piccolo Principe” molto bravi e applauditissimi.
Poi venne data notizia che il 12 ottobre veniva aperto il Rientro, e i primi due ragazzi che vi sarebbero andati erano Rudj e Antonio. Questa notizia ci riempii di gioia. Un altro settore veniva aperto, l’ultima fase del programma, a mio avviso la più importante, veniva iniziata. Per i primi tempi alloggiarono in via Bronzetti e poi il rientro venne aperto in via alla Busa e in Viale Trieste a Trento, anche questo per concessione del comune di Trento.
Alla fine del 1987 i ragazzi in Programma erano in Accoglienza, in comunità ventitré e al Rientro erano tre, perché il 22 dicembre anche mio figlio usciva dalla CT per andare al Rientro.

Agli inizi del 1988, la realtà del Centro Trentino di Solidarietà era completa, Accoglienza, Comunità e Rientro.
Al Rientro aperto da due mesi erano in tre, Rudj, Antonio e Luciano, ma entro la fine di febbraio diventarono sei, perché si aggiunsero Claudio, Marco e Fabrizio. Come direttore c’era Claudio e per un periodo Donatella. Se intanto che i ragazzi erano in Comunità, noi genitori eravamo abbastanza tranquilli, al loro arrivo a Rientro, ritornarono le ansie e le preoccupazioni.
Iniziarono subito anche i gruppi al Rientro, e nei primi gruppi, eravamo cinque genitori, quattro mamme e un papà, poi verso la fine di febbraio diventammo in nove, sei mamme e tre papà.
In questi gruppi si cominciava a capire quanto importante fosse mettere in pratica quello che avevamo assimilato nei gruppi precedenti, e tutti noi eravamo d’accordo che il periodo del Rientro, era difficile. Non dovevamo certo lasciarci prendere dai sentimenti, ma insieme agli operatori aiutare i nostri figli a prendersi le loro responsabilità per maturare ed affrontare più sereni la vita.
Quanta ansia mi dava, dopo 17 mesi di Comunità, vedere mio figlio girare solo per la città, vederlo affrontare le varie difficoltà, prima di convivenza con l’ambiente in cui aveva vissuto la sua vita di prima, e poi la ricerca di un lavoro e di una casa.
Quanta trepidazione al pensiero di ristabilire il nostro rapporto così importante per una nostra vita futura. Tutte queste paure e ansia le portavamo nei gruppi e le discutevamo riuscendo ad acquisire più sicurezza e serenità.
Ora vorrei aprire una parentesi e parlare un po’ degli operatori. Il lavoro aumentava e di conseguenza anche i sacrifici. Solo le paghe erano sempre le stesse, molto basse, ma l’entusiasmo e la voglia di andare avanti era sempre tanta. Di questo dobbiamo ricordarcene sempre, che da niente è nato questo Centro in cui moltissimi hanno trovato la voglia di vivere, sia genitori che figli. Gli operatori erano sempre gli stessi dall’inizio, padre Alfredo come direttore terapeutico, Oscar, Claudio, Donatella, Anna e Maria. Poi arrivarono Wilma e Paolo, e verso la fine del 1987 arrivò da Milano Roberto con sua moglie Rosanna, che purtroppo essendo malata, in agosto del 1988 ci lasciò. Fu un grosso dolore perché in quel poco tempo che era stata con noi, le avevamo voluto bene. Era una giovane donna dolce e buona e penso che noi tutti che l’abbiamo conosciuta, la ricorderemo sempre.
Dopo la perdita della moglie, anche Roberto fece l’operatore, e rimase con noi fino al novembre dopo di che è ritornato a Milano per impegnarsi in altro lavoro.
Non possiamo non parlare di Francesca, la zia di Roberto, che venne al Centro come Volontaria. Lavorò e perfezionò, il lavoro amministrativo del CTS.
In quel periodo, 1986-1988, venivano al Centro anche dei volontari, per il servizio al telefono, trasporto ragazzi ed altri piccoli servizi, e continuarono a venire. Non posso nominarli tutti, ma i più conosciuti come Giovanni, Remo. Elisa che è stata la prima volontaria, è venuta proprio agli inizi nel 1985, ed è rimasta fra noi per tanti e lunghi anni con la sua  disponibilità e serenità.
In febbraio 1988 uno dei ragazzi del Rientro, Rudj trovò lavoro a Riva del Garda. Fu il primo ragazzo che cominciò a lavorare dopo aver concluso il programma.
La madre Anna Maria non era molto contenta. A lei sembrava troppo presto, e noi genitori del gruppo cercavamo di aiutarla a non aver così tanta paura e ansia, e infatti dopo un periodo un po’ faticoso, Rudj si stabilì a Riva, dove tuttora lavora come elettricista.
Poi anche Antonio cominciò a lavorare come meccanico, e anche Luciano trovò lavoro dopo molte difficoltà presso una Cooperativa. Il lavoro consisteva nel tagliare l’erba ai margini delle strade e sugli argini dell’Adige.
Le paure c’erano sempre, ma vedere con che impegno e gioia andava a lavorare, ci sembrava un miracolo. Per lui che aveva sempre disprezzato questo tipo di lavoro.
Un giorno io e mio marito abbiamo pensato di andare a vederlo lavorare, e senza farci vedere siamo andati sulla strada che costeggia l’argine dell’Adige. Nostro figlio era lì che tagliava l’erba con la falce, poi la portava in cima. Ce n’erano parecchi mucchi di questa erba tagliata, allora ho detto a mio marito: “Sai, mi sembra di essere quella mamma di un architetto che passando per la città additava con orgoglio alle amiche un grattacielo dicendo: ‘Questo grattacielo l’ha costruito mio figlio!”. Per me quei mucchi di erba erano come fossero dei grattacieli, perché era il lavoro di mio figlio.
E intanto in Accoglienza e in Comunità i ragazzi aumentavano e in maggio al Rientro ne arrivarono altri. La prima ragazza Anna Maria, Roberto, Giorgio, e il gruppo dei genitori diventava più grande e sempre molto interessante.

Verso maggio del 1988 i primi ragazzi cominciarono a cercare appartamento e a lasciare il Rientro. Il primo fu Rudj che andò ad abitare a Riva dato che lavorava già da qualche mese nella sua cittadina, poi Antonio e poi Luciano, Bicio e Marco: era un avvenimento gioioso ogni volta e ogni volta il nostro cuore, da una parte gioiva al vedere i nostri figli che iniziavano un cammino autonomo, dall’altra tremava di ansia e paura. Ma tutto questo lo portavamo nei Gruppi, e riuscivamo a parlarne, e questo ci dava una certa tranquillità. Anche dopo che i nostri figli avevano lasciato il rientro, non pensavamo minimamente di lasciare i gruppi. Avevamo capito che il rapporto con i nostri figli era molto importante e ci aiutava, ora che loro avevano acquisito una certa autonomia a ricreare un rapporto nuovo e creare per noi genitori degli interessi per non sentire troppo il distacco da quei figli che non avevano più bisogno di noi, perché cominciavano a camminare da soli e con le loro forze.
Per qualche genitore questo era molto difficile, per qualche altro un po’ meno ma quasi tutti abbiamo sofferto ad accettare questo distacco.
Intanto il nostro Centro era in piena attività, in tutte tre le fasi c’era molto movimento di ragazze e ragazzi io li ricordo tutti ma mi è difficile riportare tutti i nomi perché cominciavano ad essere molti.
Alcuni di noi, genitori anziani del programma, cominciammo a partecipare ai Gruppi Zero (gruppi di primo approccio), per portare le nostre esperienze e testimonianze. Eravamo in pochi allora: Luciano ed Elda, Ezio ed io e vi assicuro che non era facile rivedersi in quei genitori che arrivavano per la prima volta disperati a cercare risposte. Si tornava a casa con tutti i loro dolori nel cuore e quando qualcuno di loro riusciva a portare il figlio in programma era una festa.
Come era una festa ritrovarsi alle Plenarie, eravamo sempre in tanti in quella sala dell’Istituto Sordomuti, e si faceva veramente festa. Un po’ si rideva, un po’ si piangeva lacrime di gioia e qualche volta anche di dolore, per qualche grave delusione se un ragazzo o una ragazza abbandonavano il programma. Questi genitori, almeno quasi tutti, non abbandonavano però il Centro, ma continuavano a venire per sentirsi fra amici e trovare il modo per sperare e vivere con più serenità.
Faccio una parentesi parlandovi di mio figlio Luciano che nell’ottobre del 1988 ci chiese di poter venire ad abitare per un breve periodo con noi in attesa di andare nel nuovo appartamento. Eravamo un po’ perplessi, ma pi dopo i primi giorni ci accorgemmo che era bello avere in casa nostro figlio, anche perché all’inizio avevamo chiesto correttezza e onestà nei nostri confronti. Lui mantenne i patti e la convivenza fu tranquilla, anche se ogni tanto qualche scontro era inevitabile, specialmente con suo padre, poi però si faceva subito pace. Quando andò via, dopo circa due mesi e mezzo, provammo dispiacere, eravamo riusciti a creare un buon rapporto con nostro figlio, ed ora dovevamo di nuovo abituarci a non vederlo spesso e lasciare che viva la sua vita come l’aveva scelta. Io consiglierei a tutti di tornare per un po’ in famiglia: Vivendo insieme si riesce a capirsi ed a conoscersi molto di più.
Alcune famiglie del nostro centro continuavano ad ospitare ragazzi e ragazze in difficoltà, perché potessero frequentare il nostro programma terapeutico, dimostrando tanta sensibilità e soprattutto solidarietà e amore verso il Programma di Progetto Uomo e il Centro Trentino di solidarietà.
Nella foto le prime famiglie

13 Commenti. Nuovo commento

  • Una bellissima testimonianza che ha dato origine a uno dei più importanti centri aderenti alla nostra federazione, la Fict, che oggi con le sue decine di comunità in Italia, e fedele alla filosofia fondante di “progetto uomo” rappresenta una delle realtà più rappresentative dell’impegno del privato sociale nel contrasto ad ogni forma di dipendenza patologica. Un grazie ed un grande abbraccio anche da noi del centro Ceis di Pistoia.

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  • È stato bello leggere questa storia così ricca. Vivendo e avendo usufruito anch io di questa famiglia, della solidarietà e degli supporti che offre senza chiedere nulla in cambio se non impegno e onestà e lealtà, mi sento fortunato e in parte esserne un pezzetto anch io xche non c è niente di più bello, quando ci si sente pronti offrire un piccolo contributo e magari aiutare con una parola e un ascolto chi all inizio entra e si sente in difficoltà. Ringrazio Antonio, Lucia, Irene, Oscar e ai tanti altri che non conosco ma che mi hanno aperto la porta e accolto senza nemmeno chiedermi chi ero né da dove venivo. Ora però lo sanno e insieme, credo e spero di continuare a camminare insieme..

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  • Donatella Piazza
    Giugno 13, 2020 1:30 pm

    Cara Lucia, quanta emozione nel leggere questo tuo scritto! Ho rivisto tutti quegli anni vissuti insieme: gioie, fatiche e soprattutto incontri con tanti ragazzi che hanno lasciato un profondo segno dentro di me. Anche con i genitori ho condiviso tante emozioni. Insomma anni indimenticabili. Grazie Lucia un abbraccio.
    Donatella

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  • Grazie Lucia mi hai aperto il cuore … grazie per questo scritto , mi hai fatto ricordare tutto il mio percorso fatto di dolore e soddisfazioni . Grazie … tvb…grande Donna….

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  • Che ricordi! Quanta vita passava in quella casa, ricordo ancora l’emozione di entrare e trovare quello che ognuno di noi cercava, amore, amicizia fiducia e infine speranza.Poi il resto della storia la conosciamo, noi, che siamo ancora qui.Abbiamo sognato, poi quello che allora per noi era il futuro ci ha provato, sono venuti gli anni bui, ma il mio cuore fa’ ancora salti di gioia a sentire questa bellissima avventura..
    Giorgio

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  • Lacrime di tenerezza e nostalgia per quei tempi, era la casa dei sentimenti veri dovevi buttarlo fuori il dolore che avevi dentro e così siamo diventati una famiglia numerosa
    Ringrazio ogni giorno per questa esperienza che mi ha colmato d’amore.Poi il futuro non ci ha reso le cose facili, ma per me è ancora come allora tutti assieme.

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    • Grazie Giorgio, mi piace che tu abbia chiamato la ” casa dei sentimenti” Villa Speranza. È stata anche per me un’esperienza indimenticabile. Ho sicuramente fatto tanti errori, ma di una sola cosa sono sicuro: vi ho voluto bene pur essendo un rompiscatole. Un abbraccio Oscar

      Rispondi
  • gabrielli Gualtiero
    Giugno 16, 2020 12:44 pm

    Ciao..grazie .grazie ..ad ascoltare queste parole ..è stato un momento intenso colmo di lacrime…ho rivissuto quegli anni.. indimenticabile. Sono stato fortunato e ne sono orgoglioso e fiero.di aver incontrato conosciuto delle grandi persone …ho un dolore che mi riporta alla mia mamma e mi porta a mio figlio aspetto impotente e arriverà anche per lui questo Momento lucia Oscar Roberto vi.. voglio bene..grazie

    Rispondi
  • Cara Lucia quanti ricordi…come in una macchina del tempo mi hai riportato a quel periodo in cui cercavo risposte e sensazioni attraverso la droga. Nel buio più profondo, incapace di reagire, di pensare, e di vivere. Io a te devo molto, mi hai accolto a casa tua come un figlio, in quel periodo più difficile della mia vita. E da quel momento che è incominciato il mio cambiamento, la mia rivincita verso me stesso, e gli altri. Ho imparato a conoscere sensazioni, emozioni, valori nuovi, sentimenti nascosti e ritrovati. La voglia di vivere. Nonostante non stia passando un grande periodo, non mi sono mai più avvicinato a quel mondo. Un grosso abbraccio Roberto

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  • Cristina Valcanover
    Aprile 1, 2022 6:55 pm

    Non so come ho fatto a farmi sfuggire questa testimonianza. Un racconto incredibile, che mi ha fatto tornare indietro nel tel tempo. Sono fiera di aver avuto la possibilità di conoscervi tutti, sono fiera di aver frequentato lo stesso programma nell’anno 1989. E a te Lucia dico che sei una persona formidabile. La tua forza e il tuo credo nella riuscita l’abbiamo ricevuta tutti noi in accoglienza con te. Ovviamente ricordo tutti gli operatori citati con grande affetto, tra questi il tuo Luciano. Grazie a tutti voi di avermi ridato una vita. Con tanto affetto Cristina

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